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El Crap del Diaul

L'antica leggenda legata a questo "strano" masso

(Foto di Silvano Lamperti)

Ogni valle ha i suoi misteri. Quella del Davaglione ne è particolarmente prodiga. Il più famoso è legato all'epica sfida fra il diavolo ed il canonico di San Giovanni. Nelle leggende la figura del diavolo appare sotto una duplice veste. Da un lato si mostra come il Principe delle Tenebre, l’artefice primo dei danni materiali e spirituali che affliggono l’umanità, il signore cui recano omaggio le varie creature che la paura popolare ha immaginato nella schiera degli esseri malefici, prime fra tutte le streghe. Dall’altro viene presentato come una figura dai tratti più sfaccettati, nel linguaggio contemporaneo si direbbe un perdente, che vede sfumare miseramente i suoi progetti, ed alla fine, magari, sembra più un povero diavolo che un terribile artefice di male. 


E’ questo il caso del diavolo del Davaglione, o di San Giovanni, la bella località che si trova, a 1000 metri di altitudine, fra i boschi del versante occidentale della valle del Davaglione, sopra Montagna in Valtellina, a 7 km dal centro del paese. A San Giovanni (san giuàn, frazione un tempo assai popolata: contava 122 abitanti nel 1861) si trova una graziosa chiesetta quattrocentesca, il cui campanile si può scorgere anche da lontano, perché si erge al di sopra della linea di larici ed abeti. La chiesetta, dedicata a San Giovanni Battista, venne poi restaurata in due successivi momenti, nel Seicento e nel 1707, e mostra, sul lato destro della facciata, un affresco tardo cinquecentesco, che raffigura il battesimo di Cristo, episodio evangelico che riguarda, appunto, San Giovanni Battista. Questo raccontano le cronache ed i documenti ufficiali. 


Una diffusa leggenda popolare, però, (riportata nell'articolo "Geologia spicciola del Davaglione...", di Guiscardo Guicciardi, in "Rassegna Economica della Provincia di Sondrio, 1976) aggiunge alcuni particolari suggestivi. Pare che l’edificazione di questa chiesa fosse un evento così significativo, che il diavolo chiese a Dio di potervi contribuire. Non gli fu detto di no, ma gli venne posta una condizione ben precisa: doveva portare a valle il masso più grande del “gandon de Mara”, cioè della grande ganda che si stende, nell’alta alpe di Mara, ai piedi del versante meridionale dell’omonimo corno. Non solo, ma doveva portarlo sul sagrato della chiesa prima che ne venisse ultimata la costruzione e che suonassero le campane della cerimonia di consacrazione. Non era una condizione da poco, perché il masso era assai pesante, ed anche un diavolo ha il suo bel daffare per caricarselo sulle spalle e portarlo giù, diverse centinaia di metri più in basso. Ma il diavolo non si perse d’animo, cercò il masso, se lo mise in spalla e cominciò a scendere sbuffando. 
Aveva calcolato male i tempi: quando giunse, non fece neppure in tempo a deporre a deporre il macigno, che le campane cominciarono a suonare, annunciando la consacrazione della chiesa, già bell’e terminata. Rimase, è proprio il caso di dirlo, scornato, perché, alla fatica

inutile che aveva fatto, si aggiungeva la figuraccia di fronte a tutte le autorità che erano convenute per l’occasione. Il diavolo, si sa, non è anglosassone, e quel giorno perse veramente le staffe. Immaginate la scena: divenne ancor più rosso per l’ira e l’umiliazione, con quel macigno che aveva ancora sulle spalle, e, dopo qualche istante di smarrimento, lo scagliò con violenza sul sentiero. Poi, un po’ per l’ira, un po’ per lo sconforto, cominciò a piangere, e pianse, e pianse tanto che le lacrime formarono veri e propri ruscelli, che scesero giù, nel cuore della valle del Davaglione. Ma la terra si ritraeva al loro passaggio, per cui si formarono tante piccole guglie di terra, che ancora oggi si possono ben osservare, proprio al centro della valle.


Una diversa versione della leggenda racconta che la posta in gioco della scommessa era l'anima del curato; quando, poi, il diavolo dovette constatare la propria sconfitta, pare non si sia limitato a piangere (cosa, peraltro, poco consona ad un diavolo), ma abbia sfogato tutta la sua cieca rabbia vomitando e defecando. Quindi i calanchi della valle del Davaglione non sarebbero stati scavati dalle sue lacrime, bensì, molto meno romanticamente, da altro materiale organico; per questo vengono chiamati "cagadüsc del diàul" o "recadüsc del diàul". 
Esistono altre versioni ancora: secondo una terza versione, il diavolo strinse un patto con il Padre Eterno: avrebbe dovuto portare dalla ganda di Mara un masso enorme giù fino alla chiesa di San Giorgio, prima del suono delle campane. Se lo caricò, dunque, sulle spalle e scese, fino all''Acquetta ed a Ca' Credaro. Pensava ormai di avercela fatta, perché era giunto in vista della chiesa, ma proprio allora le campane suonarono l'Ave Maria, ed egli dovette tornarsene, scornato, verso il monte, finché, spossato, abbandonò il masso nel cuore della valle del Davaglione.


Una quarta versione, riportata da Raul Mattaboni nella raccolta dattiloscritta "Leggende delle nostre valli", curata dalla Scuola Elementare di Piateda (1976), mentre si costruiva la chiesa di S. Giovanni, il diavolo si presentò al parroco pregandolo che glie ne cedesse una parte. Il parroco rifiutò, ma il diavolo insistette, tanto che questi, per tagliar corto, gli propose una scommessa: il diavolo doveva portar giù dalla ganda di Mara il masso più grande prima che la Messa, che si accingeva a celebrare, giungesse al momento più sacro, quello della consacrazione. Il diavolo accettò e, con granzi balzi, volò, quasi, alla ganda di Mara, mentre il sacerdote indossava i paramenti, sicuro che la provvidenza divina non avrebbe permesso che parte della chiesa finisse in mano a Belzebù. Così, proprio mentre il sacerdote usciva dalla sacrestia con i chierichetti, per iniziare la Messa, il diavolo individuava, fra i pietroni della ganda di Mara, il più grande, e se lo caricava sulle spalle. Il masso aveva un peso del diavolo, si può ben dirlo, e la sua discesa fu assai più lenta della salita.Intanto la Messa andava avanti: terminata la liturgia della Parola, il parroco tenne la sua omelia, senza però tirarla troppo in lungo, per evitare la beffa di perdere la scommessa. Ecco, quindi, l'Offertorio e l'inizio della Preghiera di Consacrazione. Il diavolo era ormai al sagrato della chiesa e, sbuffando, si accingeva ad entrare trionfante, quand'ecco che il suono argentino dei campanelli, nelle mani dei chierichetti, annunciava l'Elevazione e quindi la Consacrazione. Per un soffio, dunque, il diavolo aveva perso. La reazione di stizza la conoscete già: il masso fu scagliato, con rabbia, più in basso, nel cure della valle del Davaglione. 
E il masso? Una grosso frammento, che reca ancora l’impronta del diavolo, finì proprio in cima ad una di queste piramidi di terra, e lì sta ancora, in una posizione curiosissima, quasi impossibile, a mo’ di cappello. Possiamo facilmente andarlo a visitare, anche se del diavolo non troveremo più traccia, perché da allora, forse per la vergogna, sembra non si sia fatto più vedere da queste parti. 

Per leggere moltre altre leggende e racconti curiosi sulla Valtellina vi consigliamo di visitare il sito www.paesidivaltellina.it, da cui abbiamo preso questa leggenda.